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Отцы и дети

✒ Autore
📖 Pagine308
⏰ Tempo di lettura 10 ore 45 minuti
💡 Pubblicato1862
🌏 Lingua originale Russo
📌 Tipo Romanzi
📌 Generi Dramma, Amore, Psicologico, Realismo, Sociale, Filosofico
📌 Sezioni Romanzo d'amore , Romanzo psicologico , Romanzo realistico , Romanzo sociale , Romanzo filosofico

Indice del libro

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I1
II4
III8
IV17
V24
VI34
VII39
VIII47
IX58
X63
XI81
XII87
XIII95
XIV105
XV111
XVI115
XVII132
XVIII149
XIX157
XX168
XXI183
XXII209
XXIII215
XXIV226
XXV253
XXVI268
XXVII280
XXVIII302

Leggi il libro

I

«Allora, Pëtr, non si vedono ancora?», domandava il 20 maggio 1859 uscendo senza cappello sui gradini dell'albergo di posta sulla strada di *** un signore sui quarant'anni con un cappotto stretto e impolverato e dei pantaloni a scacchi, rivolto al suo cameriere, un ragazzo dalla peluria bionda sul mento e dagli occhi piccoli e ottusi.
Il cameriere, nel quale tutto, l'orecchino di turchese, i capelli tinti e impomatati, il modo di muoversi aggraziato, tutto indicava la sua appartenenza alla nuova generazione dei camerieri evoluti, guardò compiacente la strada e rispose:
«Nossignore, non si vedono».
«Non si vedono?», ripeté il signore.
«Non si vedono», rispose per la seconda volta il cameriere. Il signore sospirò e si sedette su una panchina. Presentiamolo ai lettori, mentre sta seduto, con una gamba ripiegata sotto di sé, guardando pensieroso la strada.
Si chiama Nikolàj Petròviè Kirsànov. A quindici verste dall'albergo possiede una bella tenuta di duecento anime, oppure, come dice lui stesso da quando ha diviso la sua proprietà con i contadini e ha avviato una «masseria», di duemila ettari. Suo padre, generale nella guerra del 1812, era un russo semianalfabeta, rozzo, ma non cattivo; aveva faticato tutta la vita, prima al comando di una brigata poi di una divisione, e aveva sempre vissuto in provincia, dove, in virtù del suo grado, rivestiva un ruolo di una certa importanza. Nikolàj Petròviè era nato nel sud della Russia, come il fratello maggiore, Pàvel, di cui si parlerà più avanti, ed era stato educato fino ai quattordici anni in casa, circondato da istitutori di scarso valore e da aiutanti disinvolti e servili al tempo stesso. Sua madre, della famiglia Koljàzin, si chiamava da ragazza Agathe e da generalessa Agafoklèja Kuz'mìnišna Kirsànova e apparteneva al numero delle «madri-comandanti». Portava cuffie ridondanti di nastri e abiti di seta frusciante, in chiesa si avvicinava per prima alla croce, parlava ad alta voce e molto, la mattina si faceva fare il baciamano dai bambini e la sera li benediceva; in una parola, faceva i suoi comodi. In qualità di figlio di un generale Nikolàj Petròviè, benché non solo non si distinguesse per l'audacia e si fosse, anzi, guadagnato il soprannome di vigliacchetto, avrebbe dovuto, come il fratello, intraprendere la carriera militare, ma proprio il giorno in cui arrivò la notizia della sua destinazione, si ruppe una gamba e, dopo aver passato due mesi a letto, rimase leggermente zoppo per tutta la vita. Il padre rinunciò per lui alla carriera militare e lo avviò a quella civile. A diciott'anni lo portò a Pietroburgo e lo iscrisse all'università. Il fratello, a quell'epoca, divenne ufficiale della guardia. I due giovani andarono ad abitare nello stesso appartamento sorvegliati a distanza da uno zio di secondo grado della madre. Il padre tornò alla sua divisione e alla sua consorte e solo ogni tanto mandava ai figli grandi «in-quarto» di carta grigia coperti di svolazzi da scrivano e firmati «Pëtr Kirsànov, generale-maggiore» tra eleganti ghirigori. Nel 1835 Nikolàj Petròviè si laureò e nello stesso anno il generale Kirsànov, messo a riposo per una rivista mal riuscita, venne a vivere a Pietroburgo con la moglie. Affittò una casa vicino al giardino di Tauride e si iscrisse a un club inglese, ma improvvisamente morì di mal di cuore. Agafoklèja Kuz'mìnišna lo seguì poco dopo: non era riuscita ad abituarsi al ritmo della capitale; la nostalgia della vita di campagna l'aveva consumata. Nel frattempo Nikolàj Petròviè si era innamorato, con non poco dispiacere dei genitori, della figlia dell'impiegato Prepolovènskij, un tempo suo padrone di casa. La ragazza era graziosa e, come si dice, istruita: leggeva sulle riviste le rubriche scientifiche. Nikolàj Petròviè la sposò non appena si fu concluso il periodo di lutto e, lasciato il ministero degli appannaggi, dove era entrato perché il padre lo aveva fatto raccomandare, cominciò un'esistenza di beatitudine con la sua Màša prima in una casetta vicino all'Istituto forestale, poi in città, in un piccolo e grazioso appartamento con una scala pulita e un salotto non ben riscaldato, e alla fine in campagna, dove si stabilirono definitivamente e dove, dopo poco, nacque il loro figlio Arkàdij. Vivevano felici e in pace. Non si separavano quasi mai, leggevano insieme, suonavano a quattro mani, cantavano duetti; lei seminava fiori e curava il pollaio, lui solo di rado andava a caccia e in generale si occupava dell'azienda, intanto anche Arkàdij cresceva, felice e in pace. Dieci anni passarono come un sogno. Nel 1847 la moglie di Kirsànov morì. Nikolàj Petròviè non riusciva a vincere il dolore, invecchiò in poche settimane, decise di andare all'estero per distrarsi un poco... ma era il 1848, e dovette, suo malgrado, tornare in campagna. Dopo un periodo di inattività, cominciò a occuparsi delle riforme agrarie. Nel 1855 iscrisse il figlio all'università e trascorse con lui tre inverni a Pietroburgo, senza mai uscire di casa e cercando invece di conoscere i compagni di Arkàdij. L'ultimo inverno non aveva potuto lasciare la campagna ed ecco perché lo vediamo, nel mese di maggio del 1859, ormai decisamente invecchiato, più grasso e un po' curvo, aspettare il figlio che, come lui una volta, si è appena laureato.
Il cameriere, per riservatezza o forse per non restare sotto gli occhi del padrone, andò a fumare la pipa nell'atrio dell'albergo. Nikolàj Petròviè abbassò la testa e cominciò a guardare i gradini consumati lungo i quali passeggiava con sussiego un grosso pulcino screziato pestando sul legno le sue grosse zampe gialle mentre una gatta tutta sporca lo fissava, ostile, restando accoccolata sul parapetto. Il sole era alto, dall'atrio semibuio dell'albergo veniva un profumo tiepido di pane di segala. Nikolàj Petròviè sognava: Mio figlio... laureato... Arkàša... queste parole continuavano a risuonare nella sua mente. Provava a pensare ad altro e di nuovo eccole ritornare. Ricordava la moglie... «Non ha aspettato!», sussurrò con tristezza... Un colombo grigioazzurro volò sopra la strada e andò a bere in una pozzanghera vicino al pozzo. Nikolàj Petròviè si mise a guardarlo, ma il suo udito coglieva già il fragore delle ruote che si avvicinavano.
«Forse arrivano», disse il cameriere, uscendo sul portone. Nikolàj Petròviè si alzò di scatto e strinse gli occhi per guardare meglio la strada. Apparve una carrozza tirata da tre cavalli di posta; nella carrozza intravvide la visiera di un berretto studentesco e i noti contorni del caro viso...
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