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«A Lear of the Steppes» in Italian

Un Re Lear delle steppe

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✒ Author
📖 Pages136
⏰ Reading time 4 hours 45 minutes
💡 Originally published1870
🌏 Original language Russian
📌 Types Tales , Novels
📌 Genres Prose, Psychological, Realism, Social
📌 Sections Psychological novel , Realistic novel , Social novel

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Un Re Lear delle steppe: read the book

Un Re Lear delle Steppe. Ivan Turgenev

RACCONTO

I

Una sera d'inverno eravamo riuniti in sei presso un vecchio amico, compagno di università, e parlavamo di Shakespeare e delle sue meravigliose creazioni, di quei suoi personaggi poderosi che rappresentano così mirabilmente la natura umana, così pieni di verità e di freschezza, che ciascuno di noi ricordava d'aver incontrato in vita sua un Amleto, un Otello, un Falstaf. — Ed io, signori miei — disse il nostro ospite, un uomo già attempato — io ho conosciuto un Re Lear. — Come! un Re Lear! — esclamammo noi alquanto sorpresi.
— Proprio così; e se volete vi racconterò la sua storia. — Fateci questo piacere — pregammo noi; e il nostro amico cominciò subito a raccontare.
La mia fanciullezza e la mia prima gioventù fino all'età di quindici anni l'ho passata tutta in campagna, in una tenuta di mia madre; e di tutte le persone che io conobbi in quel tempo ormai lontano, nessuna mi è rimasta così viva nella memoria come uno dei nostri vicini, un certo Martino Petrovich Carlof. Del resto, ciò si spiega facilmente, giacchè in tutta la mia vita non ho mai conosciuto un uomo che gli somigliasse. Figuratevi un gigante: su d'un tronco colossale, alquanto piegata e senza traccia di collo, una testa enorme, coperta d'una selva di capelli arruffati, di color grigio giallastro, che sulla fronte gli arrivavano giù fin quasi alle folte sopracciglia. Sulla larga superficie del suo volto pavonazzo, completamente sbarbato, spiccava un grosso naso camuso, e scintillavano con espressione di fierezza e d'orgoglio due piccoli occhi azzurri; la bocca con le labbra screpolate era anch'essa molto piccola e dello stesso colore di tutto il resto del volto; la voce che usciva da quella bocca, sebbene alquanto rauca, era d'una forza e d'una sonorità straordinaria: il suo tono faceva pensare al fragore altissimo d'alcune sbarre di ferro che fossero trasportate da un carro su d'una strada malamente lastricata: egli parlava sempre così forte come se avesse dovuto farsi sentire, gridando contro vento, da qualcuno che si trovasse al di là di un'ampia valle.
Quale espressione avesse la sua faccia, era difficile dire: tanto essa era ampia, che non riusciva facile l'abbracciarla tutta in una volta con lo sguardo; però l'impressione che quel volto produceva non era sgradevole; aveva anzi una certa grandiosità; solo era un po' troppo strano e fuori dell'ordinario. E quali mani aveva quell'uomo! Dei cuscini addirittura! E che dita, e che piedi! Mi ricordo che non potevo sottrarmi a un senso di religioso terrore quando guardavo la sua schiena poderosa, larga due braccia, e le sue scapole che sembravano due macine da mulino. Ma ciò che più mi faceva stupire in lui erano le orecchie, due enormi ciambelle, tutte pieghe, che stringevano, spingendole in alto, le guance poderose. Martino Petrovich portava, così d'inverno come d'estate, una specie di tunica da cosacco, di panno verde, tenuta ferma intorno alla vita da una cintura da Circasso, e calzava sempre degli enormi stivaloni. Con la cravatta non lo vidi mai, e del resto non aveva collo intorno al quale legarsela.
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