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«Martin Eden» in Italian

Book Martin Eden in Italian

Martin Eden

4.4715 votes
✒ Author
📖 Pages587
⏰ Reading time 23 hours 30 minutes
💡 Originally published1909
🌏 Original language English
📌 Type Novels
📌 Genres Drama, Psychological, Realism, Social, Philosophical
📌 Sections Psychological novel , Realistic novel , Social novel , Philosophical novel

Table of contents

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I1
II18
III34
IV44
V52
VI62
VII71
VIII87
IX101
X113
XI123
XII134
XIII143
XIV160
XV178
XVI191
XVII205
XVIII216
XIX224
XX235
XXI245
XXII254
XXIII266
XXIV275
XXV289
XXVI302
XXVII319
XXVIII341
XXIX350
XXX367
XXXI382
XXXII395
XXXIII405
XXXIV416
XXXV427
XXXVI433
XXXVII445
XXXVIII458
XXXIX466
XL478
XLI490
XLII501
XLIII518
XLIV534
XLV546
XLVI568

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Martin Eden: read the book

I

Uno dei due aprì la porta con una chiave ed entrò, seguito da un giovanotto che si tolse il berretto con gesto imbarazzato. Aveva rozzi vestiti che odoravano di mare ed era chiaramente fuori posto nell'ampio atrio in cui si trovò. Non sapeva che fare del berretto e stava cercando di ficcarselo nella tasca del giaccone quando l'altro glielo prese. Ciò fu fatto con tranquillità e naturalezza e il giovanotto imbarazzato gliene fu grato. «Lui mi capisce», pensava. «E mi darà una mano».
Camminava alle calcagna dell'altro facendo oscillare le spalle e tenendo le gambe involontariamente divaricate, come se il pavimento si alzasse e si abbassasse seguendo le fluttuazioni e gli sbalzi del mare. Le ampie sale parevano troppo strette per la sua andatura dondolante e fra sé e sé egli era terrorizzato al pensiero che le sue larghe spalle potessero urtare contro gli stipiti delle porte o far cadere i minuscoli soprammobili posati sugli scaffali più bassi. Si ritraeva ora dall'uno ora dall'altro dei diversi oggetti, moltiplicando timori che in realtà erano soltanto una creazione della sua mente. Fra un pianoforte a coda e un tavolo centrale con alte pile di libri c'era spazio sufficiente per il passaggio di sei persone affiancate, e tuttavia vi si avvicinò con trepidazione. Le robuste braccia gli cadevano lungo i fianchi in modo sgraziato. Non sapeva che farne, di quelle sue braccia e delle mani, e quando nella sua visione alterata un braccio parve pericolosamente sul punto di sfiorare i libri sul tavolo, se ne allontanò traballando come un cavallo impaurito e per poco non finì contro lo sgabello del pianoforte. Osservò l'armoniosa andatura dell'altro davanti a lui e per la prima volta si rese conto che il suo passo era diverso da quello degli altri uomini. Per un istante il fatto di camminare in modo così impacciato gli diede un acuto senso di vergogna. Il sudore gli usciva dalla pelle della fronte in minuscole perline e si arrestò per asciugarsi con un fazzoletto la faccia abbronzata.
«Fermati un po', Arthur, ragazzo mio», disse, cercando di mascherare l'ansietà con il tono scherzoso. «Tutto in una volta è un po' troppo per il sottoscritto. Sai che io non volevo venire, e neanche la tua famiglia muore dalla voglia di vedermi, penso».
«Non ti preoccupare», fu la rassicurante risposta. «Non devi avere paura di noi. Siamo gente alla buona. Guarda, c'è una lettera per me».
Fece un passo indietro verso il tavolo, strappò il margine della busta e cominciò a leggere, dando all'estraneo la possibilità di riprendersi. Questi lo capì e gliene fu grato. Aveva il dono di sapersi immedesimare negli altri, di capirli, e sotto al suo aspetto allarmato esso già si manifestava in lui. Si asciugò la fronte e si guardò intorno con un'espressione controllata, benché nei suoi occhi comparisse un balenio come quello che si scorge negli animali selvatici quando temono di essere presi in trappola. Si trovava in mezzo a un mondo ignoto, preoccupato di ciò che poteva accadere, ignaro di ciò che doveva fare, consapevole che la sua andatura e il suo portamento erano goffi, timoroso che ogni suo tratto e ogni sua dote ne fossero inevitabilmente segnati. Ne aveva l'acuta consapevolezza, la frustrante sensazione, e lo sguardo divertito che l'altro gli lanciò furtivamente al di sopra del bordo della lettera lo trapassò, bruciante come una pugnalata. Vide quello sguardo ma non ebbe alcuna reazione perché la disciplina era una delle cose che aveva imparato. Inoltre quel colpo di pugnale lo aveva ferito nell'orgoglio. Si maledì per essere venuto e contemporaneamente decise che, dal momento che era venuto, ce l'avrebbe fatta, in un modo o nell'altro. Gli si indurirono i lineamenti e negli occhi gli affiorò una luce aggressiva. Si guardò intorno in modo più noncurante soffermandosi con attenzione su ciò che vedeva e registrando nel cervello ogni particolare di quel grazioso ambiente. I suoi occhi erano spalancati: nulla sfuggiva alla loro percezione e a mano a mano che bevevano avidamente quella visione di bellezza, svaniva dal suo sguardo la luce aggressiva e subentrava un'espressione di calda simpatia. Egli era sensibile alla bellezza e lì la sua sensibilità aveva trovato di che risvegliarsi.
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