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«Lost Illusions» in Italian

Book Lost Illusions in Italian

Illusioni perdute

44 votes
✒ Author
📖 Pages802
⏰ Reading time 37 hours 45 minutes
💡 Originally published1843
🌏 Original language French
📌 Type Novels
📌 Genres Prose, Psychological, Realism, Social
📌 Sections Psychological novel , Realistic novel , Social novel

Table of contents

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Illusioni perdute: read the book

I DUE POETI

UNA STAMPERIA DI PROVINCIA

All'epoca in cui comincia questa storia, la macchina di Stanhope e i rulli inchiostratori non erano ancora entrati nelle piccole stamperie di provincia. Ad Angoulême, malgrado la specialità locale che la mette in rapporto con l'industria tipografica parigina, ci si serviva sempre di torchi in legno, ai quali la lingua è debitrice dell'espressione «far gemere i torchi» che oggi non trova più applicazione. L'arte della stampa era arretrata e si impiegavano ancora i mazzi di cuoio caricati di inchiostro con i quali lo stampatore inchiostrava i caratteri. Il piano mobile destinato a ricevere la forma piena di lettere sulla quale si applica il foglio di carta era ancora in pietra e giustificava il nome di marmo. I voraci torchi meccanici hanno ormai fatto dimenticare a tal punto questo congegno, al quale dobbiamo, nonostante le sue imperfezioni, i bei libri degli Elzevier, dei Plantin, degli Aldo Manuzio e dei Didot, che non sarà inutile ricordare i vecchi attrezzi per i quali Gerolamo Nicola Séchard aveva un attaccamento superstizioso; essi infatti hanno una loro parte in questa grande piccola storia.
Questo Séchard era un ex torcoliere di quelli che nel loro gergo tipografico i compositori chiamano Orsi. Senza dubbio questo nomignolo è venuto loro dal continuo va e vieni che essi fanno, come gli orsi in gabbia, per passare dalle tavolette, sulle quali è disteso l'inchiostro, al torchio e dal torchio alle tavolette. A loro volta gli Orsi hanno soprannominato i compositori Scimmie, a causa della ininterrotta ginnastica che questi signori fanno per prendere i caratteri nei centocinquantadue cassettini in cui sono con tenuti. All'epoca infausta del 1793, Séchard, che aveva circa cinquant'anni era sposato. L'età e tale la sua condizione lo sottrassero alla grande coscrizione che portò quasi tutti gli operai sotto le armi. Il vecchio torcoliere restò solo nella stamperia il cui padrone, detto anche il Semplicione, era appena morto, lasciando una vedova senza figli. Lo stabilimento sembrò minacciato da una fine imminente: l'Orso solitario era incapace di trasformarsi in Scimmia perché, essendo torcoliere, non aveva imparato né a leggere né a scrivere. Senza tener conto di tali sue incapacità, un Rappresentante del Popolo, incaricato di diffondere i bei decreti della Convenzione, concesse al torcoliere il brevetto di maestro stampatore e requisì la tipografia. Dopo aver accettato questo pericoloso brevetto, il cittadino Séchard indennizzò la vedova del padrone consegnandole le economie della propria moglie, con le quali pagò il materiale della stamperia metà del suo valore. Ma questo era ancora niente. Bisognava stampare senza errori né ritardi i decreti repubblicani. In queste difficili circostanze Gerolamo Nicola Séchard ebbe la fortuna di incontrare un nobile marsigliese che non voleva emigrare per non perdere le proprie terre, né mostrarsi in giro per non perdere la testa, e che non aveva altro modo per vivere se non quello di procurarsi un lavoro qualunque. Il Signor conte di Maucombe indossò dunque l'umile veste di un proto di provincia: compose, lesse e corresse lui stesso i decreti che comminavano la pena di morte ai cittadini che nascondessero dei nobili; l'Orso divenuto Semplicione li stampò, li fece affiggere; e tutti e due rimasero sani e salvi. Nel 1795, passata la bufera del Terrore, Nicola Séchard fu costretto a cercarsi un altro merlo che potesse fare da compositore, correttore e proto. Un prete, divenuto poi vescovo sotto la Restaurazione e che allora aveva rifiutato di prestare giuramento, sostituì il conte di Maucombe fino al giorno in cui il Primo Console ristabilì la religione cattolica. Il conte e il vescovo si incontrarono più tardi sullo stesso banco della Camera dei Pari. Ma nel 1802 Gerolamo Nicola Séchard, se non sapeva leggere e scrivere meglio che nel 1793, aveva però saputo ricavare dalla stamperia guadagni sufficienti per permettersi un proto. Colui che era stato un operaio incurante dell'avvenire era diventato un padrone temibile per le sue Scimmie e i suoi Orsi. L'avarizia comincia dove finisce la povertà. Il giorno in cui lo stampatore intravide la possibilità di accumulare un patrimonio, l'interesse gli sviluppò una sorta di rozza intelligenza avida, sospettosa e sottile. In lui la pratica si infischiava della teoria. Egli sapeva ormai valutare a colpo d'occhio il prezzo di una pagina e di un foglio a seconda dei caratteri. Dimostrava agli ignari clienti che costava di più lavorare con i caratteri grossi che con quelli piccoli; se poi si trattava di caratteri piccoli, diceva che erano più difficili da maneggiare. Poiché la composizione era la branca della tipografia di cui non capiva niente, aveva tanta paura di sbagliare i conti che faceva sempre dei contratti leonini. Se i suoi compositori lavoravano a ore, non smetteva mai di tenerli d'occhio. Se sapeva che un cartaio si trovava in difficoltà, gli comprava tutta la carta a basso prezzo e l'immagazzinava. Così aveva finito per acquistare anche l'edificio in cui da tempo immemorabile era situata la stamperia. Ebbe tutte le fortune: rimase vedovo con un solo figlio; lo mise al liceo della città, non tanto per dargli una educazione quanto per prepararsi un successore; lo trattava severamente allo scopo di prolungare la durata della sua autorità paterna; nei giorni di festa, lo faceva lavorare alla cassa dicendogli che doveva imparare a guadagnarsi la vita per potere un giorno ricompensare il povero padre che si dissanguava per allevarlo. Quando il prete lo lasciò, Séchard scelse per proto, fra i suoi quattro compositori, quello che il futuro vescovo gli indicò come colui che aveva tanta onestà quanta intelligenza. In tal modo il brav'uomo fu in grado di aspettare il momento in cui suo figlio avrebbe potuto dirigere lo stabilimento che, in mani giovani ed abili, si sarebbe certamente ingrandito. Davide Séchard fece degli studi brillantissimi al liceo di Angoulême. Per quanto, da Orso qual era, senza cultura né educazione, di sprezzasse considerevolmente la scienza, papà Séchard mandò suo figlio a Parigi perché vi studiasse l'arte tipografica; ma gli raccomandò con tanto calore d'accumulare una bella somma in un paese che egli chiamava il paradiso dei lavoratori, dicendogli di non contare sulla borsa paterna, che non v'è dubbio egli vedesse in quel soggiorno nel paese della Sapienza un modo d'arrivare ai suoi fini. A Parigi, mentre imparava il mestiere, Davide completò la sua educazione. Il proto dei Didot divenne un dotto. Verso la fine del 1819 Davide Séchard lasciò Parigi senza essere costato un soldo a suo padre, che lo richiamava per affidare alle sue mani il timone dell'azienda. La stamperia di Nicola Séchard possedeva allora il solo foglio di avvisi giudiziari che esistesse nel dipartimento, e inoltre forniva la Prefettura e il Vescovato; si trattava di tre clienti che avrebbero dovuto procurare una grande fortuna a un giovanotto attivo.
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